Processo Martina Rossi: sentito come testimone il ragazzo del flirt. È scontro totale fra accusa e difesa
Continua la carrellata dei testimoni nel processo per la morte di Martina Rossi, la 20enne che il 3 agosto del 2011 è deceduta a seguito di una caduta dal sesto piano dell'hotel Santa Ana a Palma di Maiorca. Per questa tragedia che ha interessato particolarmente "Chi l'ha visto?" sono imputati di omicidio colposo, tentata violenza sessuale in concorso, morte in conseguenza di altro delitto e omissione di soccorso due ragazzi aretini di 27 anni: Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi.
LO ZAMPINO DI "CHI L'HA VISTO?" - Come spesso accade, la succitata trasmissione RAI ha contribuito in modo attivo alla soluzione del caso, perché il teste sentito ieri in aula è stato trovato proprio grazie a un appello che i genitori lanciarono in diretta: a quel tempo (i primi mesi del 2014) si sapeva solo che poche ore prima di morire la ragazza aveva flirtato con un certo Mattia. Quest'ultimo, essendosi riconosciuto nella descrizione, qualche giorno dopo si presentò davanti ai carabinieri di Urbino per mettersi a disposizione delle indagini.
IL FLIRT - Il giovane ha ricostruito le ore passate insieme a Martina: «Ci siamo visti e ci siamo subito piaciuti, tanto che ci isolammo dalle rispettive comitive per rimanere a parlare da soli». Mattia ha fatto riferimento a qualche chiacchiera, a un bacio e, più in generale, alla sua delusione, in quanto per lui le vacanze stavano finendo e difficilmente avrebbe potuto approfondire quell'amicizia speciale. Il testimone ha specificato che si scambiò con Martina le indicazioni per trovarsi su Facebook e che la ragazza «era serena, tranquilla, non mostrava alcun segno di alterazione».
Incredibile il destino riservato ai due: nei minuti in cui lui stava prendendo l'aereo per tornare in Italia lei stava spirando.
POLEMICHE E SCONTRI - Sembra che questo processo sia molto basato sullo scontro fra due punti di vista diametralmente opposti: chi parla di omicidio e chi di suicidio e lo dimostra la ricostruzione minuziosa dell'accusa che ha chiamato a testimoniare il medico della famiglia Rossi. Questo, da una parte ha assicurato di non aver fatto alcuna prescrizione a Martina nel 2011, dall'altra, incalzato dalla difesa, ha dovuto ammettere che nel 2010 le aveva consigliato di assumere un tranquillante.
LA TESTIMONIANZA DELLO PSICOLOGO - A complicare ancora di più la situazione si è posta un'altra testimonianza che per la Procura e la parte civile potrebbe risultare un boomerang: quella di uno psicologo, per il quale la ragazza nell'anno della maturità soffriva di crisi di ansia e attacchi di panico che lui aveva curato con blandi psicofarmaci. Lo specialista ha sottolineato che nel periodo seguente, ossia quello dell'università, la giovane «si era trasformata in una ragazza serena e piena di voglia di vivere» e soprattutto che i disturbi erano spariti quando la studentessa partì per la Spagna.
Si tratta di un quadro complicato con aspetti psicologici molto difficili da ricostruire in ambito processuale.
LA PERIZIA CHE ESCLUDE IL SUICIDIO - Il perito del PM è stato categorico: «La dinamica della caduta è incompatibile con un suicidio. Se si fosse gettata dal balcone o qualcuno l'avesse spinta, la traiettoria avrebbe dovuto essere più arcuata e il punto di impatto sul terreno sarebbe stato più distante rispetto al balcone della camera 609 che era occupata dai due aretini».
È abbastanza chiaro il quadro secondo l'accusa: Martina avrebbe provato a scappare da un tentativo di stupro, cadendo in modo perpendicolare.
Naturalmente a queste osservazioni si anteporrà una consulenza della difesa, seguiremo gli sviluppi.
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