Fermato il presunto assassino di Stefano Leo. La dinamica dell'omicidio e il punto di vista della difesa

UNA TRAGICA FINE - Stefano Leo era un ragazzo di 34 anni che lavorava come commesso a Torino. Dopo la laurea in giurisprudenza e un tirocinio forense che non l'aveva soddisfatto era partito dall'Italia per raggiungere l'Australia, la Nuova Zelanda, il Brasile e altri paesi esotici. Un giovane tutto d'un pezzo, così lo vedevano gli amici e i familiari che lo definivano "un ragazzone", un figlio del mondo che è stato strappato alla vita da un brutale assassino il 23 febbraio scorso. Ma com'è potuta accadere una simile tragedia?
Era mattina e Stefano stava percorrendo la zona dei Murazzi a Torino per raggiungere il negozio K-way di piazza C.L.N. dove lavorava, quando è stato raggiunto da una violenta coltellata alla gola. Il giovane, sanguinante e in preda all'angoscia, ha provato a tamponare l'emorragia con una sciarpa e ha cercato aiuto correndo verso la prima macchina raggiungibile, ma la morte è sopraggiunta molto velocemente a causa del profondo taglio. Da quel momento in poi è iniziato un mistero apparentemente risolto solo qualche mese più tardi.

LE INDAGINI - Nei giorni seguenti molte sono state le notizie sulle indagini: si è parlato di assassino coi rasta, di telecamere e di particolari tecniche forensi. Infatti gli inquirenti avevano provato ad analizzare la camminata del carnefice di Stefano proprio come anni prima era accaduto per l'omicidio del consigliere comunale Alberto Musy, in quanto nei video esaminati i visi erano irriconoscibili.
Il 30 marzo su "La Stampa" era addirittura spuntata l'ipotesi del "killer dal passato", ma il ragazzo non aveva nemici: «La vita di Stefano non aveva segreti, non alzava mai la voce, nemmeno quando ce ne sarebbe stato bisogno. Era dolce, pacato e spirituale», così lo descriveva un suo amico.
Il giovane, oltre ad essere ben voluto da tutti, aveva un'indole molto tranquilla e gentile: nei suoi viaggi aveva addirittura fatto il volontario in una farm ed era stato ospite di una comunità Hare Krishna.

IL PRESUNTO ASSASSINO - Ieri il 27enne italiano di origini marocchine Said Mechaquat (in un primo momento tutte le testate giornalistiche l'avevano chiamato "Machaquat" o "Machaouat") si è consegnato spontaneamente ai carabinieri e si è attribuito l'efferato delitto: «Ho colpito un bianco basandomi sul fatto ovvio che giovane e italiano avrebbe fatto scalpore. Mi bastava che fosse italiano, uno giovane, più o meno della mia età, che conoscono tutti quelli con cui va a scuola, si preoccupano tutti i genitori e così via. Non avrebbe fatto altrettanto scalpore. L'ho guardato ed ero sicuro che fosse italiano. Volevo sottrarlo alla sua famiglia e togliergli tutte le promesse di felicità».

Said non se la passava bene: era stato lasciato dalla moglie e pernottava in un dormitorio, per un certo periodo era stato ospitato da un amico d'infanzia che però l'aveva cacciato di casa perché aveva preso a calci il suo cane. Secondo quest'ultima testimonianza Mechaquat aveva cominciato a fare discorsi inquietanti e a leggere libri sul satanismo. Si era lasciato andare in un vortice di insulsaggine e violenza, fino ad arrivare all'omicidio di Stefano.
Durante la confessione Said è stato molto chiaro: «Ho guardato i passanti per 20 minuti e ho scelto lui. L'ho fatto perché mi sembrava che avesse un'aria felice e serena. Mi sono affiancato e gli ho piantato il coltello nella gola».
L'arma del delitto sarebbe stata proprio un coltello di ceramica comprato in un discount, ci sarebbero già i primi riscontri rispetto a quanto raccontato dal presunto assassino.

LA DIFESA - Matteo Bodo, l'avvocato di Said, ai microfoni della trasmissione Mediaset "Mattino Cinque" ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: «Siamo di fronte a un fatto che è abbastanza particolare. Noi abbiamo l'impressione che sia un fatto senza movente o comunque un movente talmente abnorme che è difficile da raccontare e accettare. Noi non nascondiamo come studio legale di avere qualche perplessità sulla dinamica che dovrà essere accertata. Abbiamo qualche riserva sul fatto che possa essere stato Said a commettere il delitto, comunque la verità potrà essere verificata con gli accertamenti scientifici su quella che è stata indicata come l'arma utilizzata per commettere il delitto, che è l'unico elemento certo per ottenere il collegamento tra il fatto e questa persona. Il movente personale abnorme ci rende cauti nel definirlo colpevole: scegliere un obiettivo per un motivo particolare come può essere un familiare, come spesso accade, è un fatto gravissimo che però ha un perché, qui siamo di fronte all'assurdo».

Autore: Davide Ronca

Dottore in giurisprudenza con un master in scienze forensi e uno in scienze criminologiche. Giornalista dal 2007, è da sempre attivissimo sul web per portare un'informazione di qualità.